Jane Austen

Charlotte Brontë
Tre lettere su Jane Austen (1848-50)
traduzione di Giuseppe Ierolli

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Charlotte Brontë espresse con molta chiarezza il suo giudizio sulle opere di Jane Austen in tre lettere: due a George Lewes (grande ammiratore di JA - vedi su questo sito il suo articolo del 1859), con il quale era venuta in contatto dopo una recensione di quest'ultimo a Jane Eyre, e una a William Smith Williams, "reader" ("lettore") presso Smith & Elder, la casa editrice che aveva pubblicato il romanzo nel 1847.
Non ho estratto i brani delle lettere riguardanti JA, ma le ho riportate integralmente, poiché le idee generali che CB espone anche nelle parti non direttamente riferite a JA (e ovviamente nel resto del suo epistolario) fanno comprendere appieno i suoi giudizi negativi, che derivano da una visione della letteratura opposta a quel razionalismo settecentesco sempre presente nei romanzi di un'autrice che, sia pure morta (piuttosto giovane) solo due anni prima della sua nascita, le appariva ancorata a uno stile di scrittura completamente diverso dal suo.
È anche interessante notare il diverso modo di esprimere le sue opinioni rispetto ai due interlocutori: con Lewes i giudizi, pur nella loro estrema chiarezza, sono più sfumati, più cauti, mentre con Williams appaiono molto più netti e decisi.
Una piccola curiosità: nella prima lettera, dopo aver parlato di Ranthorpe, un romanzo di Lewes pubblicato nel 1847, CB scrive:
... per scrivere così è necessario aver visto e conosciuto moltissimo, e io ho visto e conosciuto pochissimo.
qualcosa di molto simile a quanto JA aveva risposto al rev. James Stanier Clarke, che le aveva suggerito, come soggetto di un suo futuro romanzo, la descrizione della vita di un ecclesiastico, tra l'altro molto simile a lui stesso (lettera 132D dell'11 dicembre 1815):
Un'Istruzione Classica, o in ogni caso, una conoscenza molto estesa della Letteratura Inglese, Antica e Moderna, mi sembra assolutamente Indispensabile per una persona che voglia rendere giustizia al vostro Ecclesiastico - E io credo di potermi vantare di essere, con tutta la possibile Presunzione, la Donna più illetterata, e disinformata che abbia mai osato diventare un'Autrice.


  

Letter to George Lewes
12 January 1848


Dear Sir

Mr. Williams did well on the whole to tell you I regretted not having sent the note of thanks I wrote, as I am thus afforded the opportunity of repairing that omission.

I thank you then sincerely for your generous review, and it is with a sense of double content I express my gratitude, because I am now sure the tribute is not superfluous or obtrusive. You were not severe on "Jane Eyre" you were very lenient: I am glad you told me my faults plainly in private, for in your public notice you touch on them so lightly, I should perhaps have passed them over thus indicated, with too little reflection.

I mean to observe your warning about being careful how I undertake new works: my stock of materials is not abundant but very slender, and besides neither my experience, my acquirements, nor my powers are sufficiently varied to justify my ever becoming a frequent writer.

I tell you this because your article in "Frazer" left on me an uneasy impression that you were disposed to think better of the author of "Jane Eyre" than that individual deserved, and I would rather you had a correct than a flattering opinion of me, even though I should never see you.

If I ever do write another book, I think I will have nothing of what you call 'melodrame"; I think so, but I am not sure. I think too I will endeavour to follow the counsel which shines out of Miss Austen's "mild eyes"; "to finish more, and be more subdued"; but neither am I sure of that. When authors write best, or at least, when they write most fluently, an influence seems to waken in them which becomes their master, which will have its own way, putting out of view all behests but its own, dictating certain words, and insisting on their being used, whether vehement or measured in their nature; new moulding characters, giving unthought-of turns to incidents, rejecting carefully elaborated old ideas, and suddenly creating and adopting new ones. Is it not so? And should we try to counteract this influence? Can we indeed counteract it?

I am glad that another work of yours will soon appear; most curious shall I be to see whether you will write up to your own principles, and work out your own theories. You did not do it altogether in "'Ranthorpe", at least not in the latter part; but the first portion was, I think, nearly without fault; then it had a pith, truth, significance in it which gave the book sterling value: but to write so one must have seen and known a great deal, and I have seen and known very little.

Why do you like Miss Austen so very much? I am puzzled on that point.

What induced you to say you would have rather written "Pride & Prejudice" or "Tom Jones" than any of the Waverly Novels?

I had not seen "Pride & Prejudice" till I read that sentence of yours, and then I got the book and studied it. And what did I find? An accurate daguerreotyped portrait of a common-place face; a carefully fenced, highly cultivated garden, with neat borders and delicate flowers - but no glance of a bright, vivid physiognomy - no open country - no fresh air - no blue hill - no bonny beck. I should hardly like to live with her ladies and gentlemen in their elegant but confined houses. These observations will probably irritate you, but I shall run the risk.

Now I can understand admiration for George Sand - for though I never saw any of her works which I admired throughout (even "Consuelo", which is the best, or the best I have read, appears to me to couple strange extravagance with wondrous excellence) yet she has a grasp of mind which if I cannot fully comprehend, I can very deeply respect; she is sagacious and profound; Miss Austen is only shrewd and observant. Am I wrong - or were you hasty in what you said?

If you have time, I should be glad to hear further on this subject - if not - or if you think the questions frivolous do not trouble yourself to reply.

I am yours respectfully     

C. Bell.           

Lettera a George Lewes
12 gennaio 1848


Egregio signore

Tutto sommato, Mr. Williams ha fatto bene a dirvi che sono rammaricata (1) per non avervi inviato il biglietto di ringraziamento che avevo scritto, dato che così mi ha offerto l'opportunità di riparare a quella omissione. (2)

Quindi vi ringrazio sinceramente per la vostra generosa recensione, ed esprimo la mia gratitudine con sentimenti di doppia soddisfazione, poiché ora sono certa che questo tributo non è né superfluo né inopportuno. Non siete stato severo con "Jane Eyre", siete stato molto indulgente; sono lieta che mi abbiate fatto rilevare chiaramente i miei difetti in privato, poiché nel vostro articolo li menzionate così alla leggera che forse avrebbe potuto sfuggirmi quanto vi è indicato, riflettendoci troppo poco.

Intendo fare tesoro del vostro consiglio di essere cauta nel dedicarmi a nuovi lavori: (3) la mia riserva di materiale non è abbondante ma molto esigua, e inoltre la mia esperienza, le mie cognizioni e le mie energie non sono sufficientemente variegate perché io possa mai diventare una scrittrice prolifica.

Vi dico questo perché il vostro articolo nel "Fraser" (4) ha suscitato in me l'imbarazzante impressione che siate propenso a stimare l'autrice di "Jane Eyre" più di quanto meriti, e preferirei che aveste nei miei confronti un'opinione corretta piuttosto che lusinghiera, anche se non dovessi mai incontrarvi.

Se mai dovessi scrivere un altro libro, credo che non ci sarà nulla di quello che voi chiamate "melodramma"; (5) credo, ma non ne sono certa. Credo anche che mi sforzerò di seguire il consiglio che brilla dai "miti occhi" di Miss Austen: "rifinire di più ed essere più controllata"; ma nemmeno di questo ne sono certa. Quando gli autori scrivono al loro meglio, o almeno quando scrivono in modo molto scorrevole, sembra come se in loro si risvegli un impulso che diventa la loro guida, che prenderà la sua strada, mettendo fuori gioco tutto ciò che gli è estraneo, dettando certe parole, e insistendo nel fargliele usare, che siano per loro natura veementi o misurate, modellando personaggi nuovi, dando risvolti impensati agli avvenimenti, rigettando vecchie idee accuratamente elaborate, e creandone e adottandone all'improvviso di nuove. Non è così? E dovremmo forse cercare di contrastare questi impulsi? Siamo davvero in grado di contrastarli?

Sono lieta che debba uscire presto un vostro nuovo lavoro; (6) sarò molto curiosa di vedere se lo scriverete secondo i vostri principi, e se sarà conforme alle vostre teorie. Non lo avete fatto del tutto in "Ranthorpe", almeno nell'ultima parte; (7) ma la prima era, credo, quasi senza difetti, e quindi c'è in essa una consistenza e una verità significative, che danno al libro un autentico valore; ma per scrivere così è necessario aver visto e conosciuto moltissimo, e io ho visto e conosciuto pochissimo.

Perché vi piace così tanto Miss Austen? Su questo sono perplessa.

Che cosa vi ha indotto a dire che avreste preferito scrivere "Orgoglio e pregiudizio" o "Tom Jones" più di uno qualsiasi dei romanzi di Waverley? (8)

Non conoscevo "Orgoglio e pregiudizio" prima di aver letto quella vostra frase, e allora mi sono procurata il libro e l'ho studiato. E che cosa ci ho trovato? Un accurato e minuzioso ritratto di un volto ordinario; un giardino ben recintato e accuratamente coltivato, con confini ben delimitati e fiori delicati - ma nessun accenno a una fisionomia brillante, vivida - niente spazi sconfinati - niente aria aperta - nessuna collina azzurra - nessun torrente impetuoso. Non mi piacerebbe certo vivere con le sue dame e gentiluomini nelle loro case eleganti ma limitate. Queste osservazioni probabilmente vi irriteranno, ma correrò il rischio.

Posso capire l'ammirazione per George Sand, poiché, sebbene non ci sia nessuna delle sue opere che mi piaccia totalmente (anche "Consuelo", che è la migliore, o almeno la migliore di quelle che ho letto, mi sembra mettere insieme un'insolita stravaganza e una straordinaria eccellenza) ha una padronanza intellettuale che, se non riesco a comprendere appieno, sono in grado di rispettare pienamente; è sagace, è profonda; Miss Austen è solo pungente e osservatrice. Mi sbaglio io, o siete stato troppo frettoloso in quello che avete detto?

Se avrete tempo, sarei lieta di sentire altro su questo argomento; se non è così, o se ritenete che siano questioni poco interessanti, non prendetevi il disturbo di rispondere.

Sono, rispettosamente, la vostra     

C. Bell.           



(1) Jane Eyre era stato pubblicato con lo pseudonimo "Currer Bell", e nell'articolo di Lewes a cui CB fa riferimento nella lettera (Fraser's Magazine , dicembre 1847, XXXVI, pp. 686-95) si leggeva "Chi lo ha scritto è chiaramente una donna, e, a meno che io non mi sia ingannato, nuova nel mondo della letteratura. Comunque, donna o uomo che sia, giovane o vecchio, sia come sia, è da tempo che un libro come questo non allietava i nostri occhi." Nell'originale non c'è un chiaro utilizzo del maschile o del femminile, ma nella traduzione era necessario scegliere, e ho scelto il femminile.

(2) Il 4 gennaio 1848 CB aveva scritto a Williams: "Talvolta ho pensato che avrei dovuto scrivere a Mr. Lewes per ringraziarlo della sua recensione sul Fraser, e, in effetti, avevo scritto un biglietto, ma poi mi è venuto in mente che non avesse bisogno dei ringraziamenti dell'autore, e ho avuto paura che sarebbe stato superfluo mandarlo, e quindi me ne sono astenuta; tuttavia, sebbene io non abbia espresso la mia gratitudine, l'ho provata."

(3) Lewes aveva scritto "Quando vediamo un giovane scrittore dimostrare un tale straordinario talento come quello che c'è in Jane Eyre, è naturale chiederci: - È un'esperienza tratta da un'abbondante provvista o è solo abilità artistica su materiali esigui? Sulla base della risposta a questa domanda, si possono formulare due suggerimenti. Ha l'autore visto molto di più e provato molto di più di quanto ci ha trasmesso? Allora i nuovi lavori possono tranquillamente continuare ad attingere a quell'abbondante deposito. Ha l'autore condotto una vita quieta e ritirata, non coinvolta nel grande vortice del mondo, non toccata dalle diverse passioni, non sottoposta a particolari calamità? Allora i nuovi lavori dovrebbero essere pianificati e realizzati con estrema cautela, poiché altrimenti, a parte i romanzi non fondati su esperienze reali, non potrebbero avere un reale successo. Per esseri vitali devono sgorgare dalla vitalità."

(4) CB scrive "Frazer".

(5) Lewes: "Ci sono alcuni difetti in esso - difetti che l'eccellenza del resto mette solo più in evidenza. C'è, in effetti, troppo melodramma e troppa improbabilità, che sembra assecondare il gusto delle biblioteche circolanti; alludo in particolare alla moglie pazza e a tutto ciò che la riguarda, e al vagabondare di Jane quando lascia Thornfield; ma anche queste parti sono scritte in modo eccellente."

(6) Il secondo romanzo di Lewes: Rose, Blanche and Violet, pubblicato nell'aprile del 1848.

(7) Ranthorpe era stato pubblicato, anonimo, dell'aprile del 1847. In effetti, la prima parte era basata su esperienze dirette di Lewes, mentre la parte finale era più di fantasia. Qui CB sembra dire a Lewes: "Un conto è enunciare teorie letterarie, un altro è metterle in pratica in un romanzo."

(8) Una serie di oltre venti romanzi e racconti di Walter Scott, che prende il nome dal primo, Waverley, pubblicato nel 1814.

Letter to George Lewes
18 January 1848


Dear Sir

I must write to you one more note, though I had not intended to trouble you again so soon. I have to agree with you, and to differ from you.

You correct my crude remarks on the subject of the "influence" well: I accept your definition of what the effects of that influence should be; I recognize the wisdom of your rules for its regulation.

About "Ranthorpe" I am right. By the last part of that work I understand only from page 271 to the end; the first portion, in which I include the episode of the Hawbuckes, is the best. You yourself admit it. You say "the great merit of the book lies in its views of literature and literary life, and in the reflections." So I think, and it is in the first part these views are disclosed, and these reflections made. I like them. The views are just, the reflection profound; both are instructive.

What a strange sentence comes next in your letter! You say I must familiarize my mind with the fact that "Miss Austen is not a poetess, has no 'sentiment' (you scornfully enclose the word in inverted commas) no eloquence, none of the ravishing enthusiasm of poetry" - and then you add, I must "learn to acknowledge her as one of the greatest artists, of the greatest painters of human character, and one of the writers with the nicest sense of means to an end that ever lived."

The last point only will I ever acknowledge. Can there be a great Artist without poetry? What I call - what I will bend to as a great Artist, there cannot be destitute of the divine gift. But by poetry I am sure you understand something different to what I do - as you do by "sentiment." It is poetry, as I comprehend the word which elevates that masculine George Sand, and makes out of something coarse, something godlike. It is "sentiment," in my sense of the term, sentiment jealously hidden, but genuine, which extracts the venom from that formidable Thackeray, and converts what might be only corrosive poison into purifying elixir. If Thackeray did not cherish in his large heart deep feeling for his kind, he would delight to exterminate; as it is, I believe he wishes only to reform.

Miss Austen being as you say without "sentiment," without poetry, may be - is sensible, real (more real than true) but she cannot be great.

I submit to your anger which I have now excited (for have I not questioned the perfection of your darling?) the storm will pass over me. Nevertheless I will, when I can (I do not know when that will be as I have no access to a circulating library) diligently peruse all Miss Austen's works, as you recommend.

I have something else to say. You mention the authoress of "Azeth the Egyptian": you say you think I should sympathize "with her daring imagination and pictorial fancy." Permit me to undeceive you: with infinitely more relish can I sympathize with Miss Austen's clear common sense and subtle shrewdness. If you find no inspiration in Miss Austen's page, neither do you find there windy wordiness: to use your words once again, she exquisitely adapts her means to her end: both are subdued, a little contracted, but never absurd. I have not read "Azeth", but I did read or begin to read a tale in the "New Monthly" from the same pen, (3)and harsh as the opinion may sound to you, I must candidly avow that I thought it both turgid and feeble: it reminded me of some of the most inflated and emptiest parts of Bulwer's novels: (4) I found in it neither strength, sense, nor originality.

You must forgive me for not always being able to think as you do, and still believe me

Yours gratefully     

C Bell.           

Lettera a George Lewes
18 gennaio 1848


Egregio signore

Devo scrivervi un altro biglietto, anche se non avevo intenzione di disturbarvi di nuovo così presto. Devo concordare e dissentire.

Correggete le mie rozze osservazioni circa "l'impulso": be', accetto la vostra definizione di ciò che sarebbero gli effetti di quell'impulso; riconosco la saggezza delle regole da voi invocate per governarlo.

Su "Ranthorpe" ho ragione. Dell'ultima parte di quel lavoro capisco solo da pag. 271 alla fine; la prima parte, nella quale includo l'episodio degli Hawbucke, è la migliore. Voi stesso lo ammettete. Affermate che "il grande merito del libro sta nei punti di vista circa la letteratura e la vita letteraria, oltre che nelle riflessioni." Così la penso anch'io, ed è nella prima parte che vengono palesati quei punti di vista e fatte quelle riflessione. Mi piacciono. I punti di vista sono corretti, le riflessioni profonde, ed entrambe le cose sono istruttive.

Che strana frase viene subito dopo nella vostra lettera! Dite che debbo abituarmi al fatto che "Miss Austen non è una poetessa, non ha 'sentimento' (racchiudete sdegnosamente la parola tra virgolette), non ha eloquenza, nulla dell'inebriante entusiasmo della poesia", e poi aggiungete che devo "imparare a riconoscerla come uno dei più grandi artisti, dei più grandi pittori della natura umana, e uno degli scrittori con il più raffinato senso della misura circa i mezzi per raggiungere i fini che sia mai esistito."

Ammetterò solo l'ultimo punto. Può mai esserci una grande Artista senza poesia? Quello che io chiamo... quello a cui mi inchino come un grande Artista, non può essere privo di quel dono divino. Ma per poesia sono certa che voi intendete qualcosa di diverso da quello che intendo io, così come per il "sentimento". È la poesia, così come la intendo io, che eleva la mascolina George Sand, e trasforma qualcosa di rozzo in qualcosa di simile al divino. È il "sentimento", nel senso che do io alla parola, un sentimento gelosamente nascosto, ma genuino, che estrae il livore dal terribile Thackeray, e trasforma quello che potrebbe essere solo un veleno corrosivo in un purificante elisir. Se Thackeray non nutrisse il suo grande cuore con una profonda compassione per i suoi simili, si delizierebbe nell'annientarli; così come stanno le cose, credo che desideri solo correggerli.

Miss Austen, essendo, come dite voi, senza "sentimento", senza poesia, può essere... è dotata di buonsenso, concreta (più concreta che vera), ma non può essere grande.

Mi sottometto alla collera che ho ormai provocato (non ho forse messo in discussione la perfezione della vostra prediletta?), la tempesta incombe sul mio capo. Nondimeno, ho intenzione (non so quando, dato che non ho accesso a una biblioteca circolante) di leggere attentamente e con diligenza tutte le opere di Miss Austen, come mi avete raccomandato.

Ho qualcos'altro da dire. Menzionate l'autrice di "Azeth l'egiziano"; (1) dite di credere che apprezzerei "la sua audace immaginazione e la sua pittoresca fantasia". Lasciate che vi disilluda: posso apprezzare infinitamente di più il trasparente buonsenso e il sottile acume di Miss Austen. Se è vero che non si trova ispirazione nelle pagine di Miss Austen, non ci si trova nemmeno vuota prolissità; per usare le vostre parole, adatta in modo squisito i mezzi ai fini; entrambi sono controllati, un po' limitati, ma mai assurdi. Non ho letto "Azeth", ma ho letto, o cominciato a leggere, un racconto della stessa penna nel "New Monthly", (2) e per quanto aspra possa sembrarvi la mia opinione, devo candidamente ammettere di averlo trovato ampolloso e fiacco; mi ha ricordato qualcuno dei più tronfi e vuoti romanzi di Bulwer; (3) non vi ho trovato né forza, né buonsenso, né originalità.

Dovete perdonarmi per non riuscire sempre a pensarla pensare come voi, e credetemi comunque

La vostra riconoscente     

C Bell.           



(1) Azeth, the Egyptian (1847), romanzo di Eliza Lynn Linton (1822-1898).

(2) The Priest of Isis, in "The New Monthly Magazine", voll. 80 e 81, giugno-settembre 1847.

(3) Edward Bulwer-Lytton (1803-1873).

Letter to William Smith Williams
12 Aprile 1850


My dear Sir

I own I was glad to receive your assurance that the Calcutta paper's surmise was unfounded It is said that when we wish a thing to be true, we are prone to believe it true, but I think, (judging from myself) we adopt with a still prompter credulity the rumour which shocks.

It is very kind in Dr. Forbes to give me his book;(1) I hope Mr. Smith will have the goodness to convey my thanks for the present. You can keep it to send with the next parcel, or perhaps I may be in London myself before May is over; that invitation I mentioned in a previous letter is still urged upon me,(2) and well as I know what penance its acceptance would entail in some points, I also know the advantage it would bring in others. My Conscience tells me it would be the act of a moral poltroon to let the fear of suffering stand in the way of improvement. But suffer - I shall. No matter.

The perusal of Southey's Life(3) has lately afforded me much pleasure; the autobiography with which it commences is deeply interesting and the letters which follow are scarcely less so, disclosing as they do a character most estimable in its integrity and a nature most amiable in its benevolence, as well as a mind admirable in its talent. Some people assert that Genius is inconsistent with domestic happiness, and yet Southey was happy at home and made his home happy; he not only loved his wife and children though he was a poet, but he loved them the better because he was a poet. He seems to have been without taint of worldliness; London, with its pomps and vanities, learned coteries with their dry pedantry rather scared than attracted him; he found his prime glory in his genius, and his chief felicity in home-affections. I like Southey.

I have likewise read one of Miss Austen’s works "Emma" - read it with interest and with just the degree of admiration which Miss Austen herself would have thought sensible and suitable - anything like warmth or enthusiasm; anything energetic, poignant, heart-felt, is utterly out of place in commending these works: all such demonstration the authoress would have met with a well-bred sneer, would have calmly scorned as outré and extravagant. She does her business of delineating the surface of the lives of genteel English people curiously well; there is a Chinese fidelity, a miniature delicacy in the painting: she ruffles her reader by nothing vehement, disturbs him by nothing profound: the Passions are perfectly unknown to her; she rejects even a speaking acquaintance with that stormy Sisterhood; even to the Feelings she vouchsafes no more than an occasional graceful but distant recognition; too frequent converse with them would ruffle the smooth elegance of her progress. Her business is not half so much with the human heart as with the human eyes, mouth, hands and feet; what sees keenly, speaks aptly, moves flexibly, it suits her to study, but what throbs fast and full, though hidden, what the blood rushes through, what is the unseen seat of Life and the sentient target of Death - this Miss Austen ignores; she no more, with her mind’s eye, beholds the heart of her race than each man, with bodily vision sees the heart in his heaving breast. Jane Austen was a complete and most sensible lady, but a very incomplete, and rather insensible (not senseless) woman; if this is heresy - I cannot help it. If I said it to some people (Lewes for instance) they would directly accuse me of advocating exaggerated heroics, but I am not afraid of your falling into any such vulgar error.

Believe me

                 Yours sincerely

             C Brontë

Lettera a William Smith Williams
12 Aprile 1850


Caro signore

Sono stata lieta di ricevere le vostre rassicurazioni sull'infondatezza del giornale di Calcutta. Si dice che quando desideriamo che una cosa sia vera, siamo propensi a crederla vera, ma penso (giudicando da me stessa) che si accolgano con ancora maggiore credulità le dicerie che ci sgomentano.

È molto gentile da parte del dr. Forbes farmi dono del suo libro; (1) spero che Mr. Smith avrà la bontà di trasmettere i miei ringraziamenti per il regalo. Potete tenerlo con voi e spedirlo con il prossimo pacchetto, o forse potrei essere a Londra io stessa prima della fine di maggio; l'invito che avevo menzionato in una lettera precedente incombe ancora su di me, (2) e anche se so che da un certo punto di vista accettarlo sarebbe una penitenza, mi rendo anche conto dei vantaggi che per altri versi potrebbe procurarmi. La mia coscienza mi dice che sarebbe un atto moralmente codardo lasciare che il timore di soffrire vinca sul valorizzarsi. Ma soffrire... dovrò. Non importa.

L'attenta lettura della vita di Southey (3) mi ha di procurato di recente molto piacere; l'autobiografia con la quale comincia è estremamente interessante, e le lettere che seguono non lo sono di meno, visto che rivelano un carattere molto stimabile nella sua integrità e un'indole molto amabile nella sua generosità, così come una mente dal talento ammirevole. Qualcuno asserisce che il Genio è incompatibile con la felicità domestica, eppure Southey è stato felice in famiglia e ha reso la sua famiglia felice; non solo ha amato la moglie e i figli pur essendo un poeta, ma li ha amati di più perché era un poeta. Sembra essere stato immune dalla mondanità; Londra, con i suoi fasti e le sue vanità, le consorterie di eruditi con la loro caustica pedanteria, lo spaventava invece di attirarlo; la sua gloria maggiore era nel suo genio, e la principale felicità negli affetti familiari. Southey mi piace.

Con la stessa attenzione ho letto una delle opere di Miss Austen, "Emma"; l'ho letta con interesse e con quel giusto grado di ammirazione che la stessa Miss Austen avrebbe ritenuto ragionevole e appropriato; qualsiasi cosa simile al calore o all'entusiasmo, qualsiasi cosa di vigoroso, intenso, che viene dal cuore, sarebbe assolutamente fuori posto nell'elogiare queste opere; dimostrazioni del genere l'autrice le avrebbe accolte con educato sarcasmo, le avrebbe pacatamente derise come eccentriche e stravaganti. Lei svolge curiosamente bene la sua missione di delineare la superficie della vita della piccola nobiltà di campagna inglese; c'è una fedeltà simile alle porcellane cinesi, una minuziosa delicatezza nel tratto; non turba il lettore con nulla di veemente, non lo disturba con nulla di profondo; le passioni le sono completamente sconosciute; respinge persino un'amicizia superficiale con quella focosa emozione; persino i sentimenti si degna di concederli con non più di un garbo occasionale, ma tenendoli a distanza; una frequentazione eccessiva con essi turberebbe la levigata eleganza dei suoi sviluppi. Ha poco a che fare con il cuore degli uomini, e molto con gli occhi, le bocche, le mani e i piedi; guardare con perspicacia, parlare in modo appropriato, muoversi con duttilità è quanto le interessa studiare, ma ciò che palpita con impeto, anche se nascosto, ciò che rimescola il sangue, ciò che è l'invisibile fondamento della vita e il consapevole traguardo della morte... questo Miss Austen lo ignora; con lo sguardo del suo intelletto, non guarda ai cuori dei suoi simili più di quanto ogni uomo veda, con gli occhi della concretezza, il cuore battergli in petto. Jane Austen era una signora perfetta e molto sensibile, ma una donna molto imperfetta e piuttosto insensibile (non insensata); se questa è eresia... non posso farci niente. Se lo dicessi a certe persone (a Lewes per esempio) mi accuserebbero subito di difendere la magniloquenza esagerata, ma non temo che voi cadiate in un errore così grossolano.

Credetemi

                             la sinceramente vostra

             C Brontë



(1) Il dottor Forbes era uno dei medici consultati a proposito della salute di Anna Brontë. I libri suoi libri più recenti rispetto alla data della lettera erano Illustrations of Modern Mesmerism from Personal Investigation (1845) e A Physician's Holiday, or a Month in Switzerland in the Summer of 1848 (1849).

(2) CB era stata invitata a Londra dai Kay-Shuttleworth.

(3) Charles Cuthbert Southey, The Life and Correspondence of the Late Robert Southey, una biografia del poeta scritta dal figlio. I primi tre volumi erano usciti nel marzo di quell'anno, mentre i rimanenti tre furono pubblicati a ottobre.

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